lunedì 21 dicembre 2015

Arte primitiva e credenze, di Ernst H. Gombrich

[…] Esistono ancora certe popolazioni che usano solo strumenti di pietra e che, per scopi magici, incidono sulle rocce figure di animali. I membri di altre tribù celebrano feste periodiche in cui, camuffati da animali, con bestiali movenze eseguono danze sacre. Anch’essi ritengono, così facendo, di acquistare in qualche modo potere sulla preda. Non di rado sono anche convinti di essere imparentati per chissà quale sortilegio con certi animali, e che l’intera tribù non sia che una tribù di lupi, di corvi o di rane. Sono credenze piuttosto bizzarre, ma non dobbiamo dimenticare che neppure esse sono tanto remote dal nostro tempo come potrebbe sembrare.
[…] Essi sembrano talora vivere in una specie di mondo chimerico in cui si può essere allo stesso tempo uomini e animali.
[…] Tutti, da generazioni e generazioni, hanno appreso il significato di questi riti e ne sono così compenetrati da non avere ormai la minima idea di liberarsene e di giungere a considerare con occhio critico il loro comportamento. Tutti noi abbiamo credenze che accettiamo supinamente tanto quanto i primitivi le loro; e questo avviene, in genere, fino al momento in cui ce ne rendiamo conto perché è arrivato qualcuno a metterle in dubbio. Può sembrare che tutte queste credenze abbiano ben poco a che fare con l’arte, ma, di fatto, esse la condizionano in vari modi. Il significato di molte opere d’arte sta nel sostenere una parte in queste bizzarre consuetudini, e quindi ciò che importa non è la bellezza della pittura o della scultura giudicata secondo i nostri criteri, ma la sua “influenza”, ossia la sua possibilità di avere il desiderato effetto magico.
[…] L’arte primitiva segue questo solco prestabilito, eppure lascia agio all’artista di mostrare il suo estro. La maestria tecnica di certi artigiani tribali è davvero sorprendente. Non si deve mai dimenticare, parlando dell’arte primitiva, che l’aggettivo non vuole alludere a una conoscenza primitiva che gli artisti avrebbero del proprio compito. Tutt’altro: molte tribù antichissime hanno raggiunto un’abilità sbalorditiva nello scolpire, nell’intrecciare canestri, nel conciare il cuoio o nel lavorare metalli. Se pensiamo con quali rozzi strumenti ciò viene eseguito, non possiamo non meravigliarci della pazienza e della sicurezza di tocco acquistata da questi artigiani in secoli e secoli di specializzazione.
[…] Ma queste testimonianze di arte indigena non devono indurci a credere che simili opere siano grottesche solo perché gli artisti non sanno fare di meglio. Non il loro livello artistico, bensì la loro mentalità differisce dalla nostra. È importante rendersi conto di ciò fin dall’inizio, perché l’intera storia dell’arte non è la storia del progressivo perfezionamento tecnico, bensì del mutamento dei criteri e delle esigenze.

[…] In alcune parti del mondo, certi artisti primitivi hanno svolto elaborate tecniche per rappresentare in fogge ornamentali le varie figure e i vari totem dei loro miti. Tra i pellirossa del nordamerica, per esempio, vi sono artisti che a un acutissimo potere di osservazione della natura uniscono un completo disinteresse per quello che noi chiamiamo l’aspetto effettivo delle cose. Cacciatori, essi conoscono la forma esatta del rostro dell’aquila o delle orecchie del castoro assai meglio di noi. Ma basta loro uno solo di tali tratti caratteristici: una maschera munita di un rostro di aquila è un’aquila.


Ernst H. Gombrich

Dog jumping, acrilici su tela -  Gianluca Salvati 1994

venerdì 30 ottobre 2015

L'universo è matematico? | Un contributo di John D. Barrow, cosmologo

Un professore di Yale fu un giorno invitato a dirimere la controversia che opponeva due fazioni universitarie. "È più importante l'insegnamento della matematica o quello delle lingue?" gli fu chiesto. "La matematica è una lingua" fu la risposta.
Nel mondo della scienza, infatti, la matematica sembra essere il linguaggio che ci permette di descrivere la natura del reale nel modo più efficace e logico possibile. D'altro canto essa si distingue dalle lingue naturali (come l'italiano o l'inglese) in quanto possiede una logica interna che la accomuna piuttosto a un linguaggio informatico. Pur essendo grammaticalmente corretta, la frase "tutti i cani hanno quattro gambe, il mio tavolo ha quatro gambe, quindi il mio tavolo è un cane", non ci offre nessuna garanzia quanto alla sua logicità o congruenza con il reale. D'altro canto, la scorrettezza grammaticale della frase "Quelli che muoiono preghiamo Dio per loro" (Manzoni) non pregiudica la comprensibilità dell'enunciato. È possibile, quindi, infrangere le regole grammaticali senza incorrere nel controsenso, laddove un'infrazione delle regole matematiche avrà sempre conseguenze catastrofiche; se si ammette una proposizione matematica falsa , infatti, essa potrà poi venir usata per provare la validità di qualsiasi altra proposizione. Avendo espresso tale considerazione nel corso di una conferenza, Bertrand Russel fu sfidato da uno scettico a dimostrare come, partendo dal presupposto che 2 più 2 è uguale a 5, si potesse provare che egli e il papa erano la stessa persona. La risposta fu pronta: "Se 2 più 2 fa 5, allora 4 è 5; sottraendo 3, 1 è uguale a 2. Ora, poiché lei e il papa siete 2, lei e il papa siete 1!".
La matematica è quindi un linguaggio provvisto di una logica interna, la cui caratteristica più impressionante è il fatto che sembra in grado di descrivere  il funzionamento del mondo reale, e non in modo episodico e approssimativo, bensì immancabilmente preciso. Tutte le scienze fondamentali - la fisica, la chimica e l'astronomia - sono scienze matematiche, e nel loro campo di osservazione non esistono fenomeni che non siano passibili di una descrizione matematica elegante oltre che appropriata. Questo non costituisce di per sé un fatto stupefacente: è possibile, infatti, che la realtà possa essere osservata attraverso lenti diverse e che noi ricorriamo alle lenti matematiche solo perché sono le uniche che possediamo. Resta comunque sorprendente la frequenza con cui fenomeni fisici di recente scoperta siano descritti con mirabile precisione da strutture matematiche esoteriche, inventate in tempi oscuri e remoti per puro amore di eleganza o di curiosità.
John D. Barrow - Cosmologo, Docente di Astronomia all'Università del Sussex


domenica 11 ottobre 2015

L'amore di un principe del deserto | Tratto da "Lo Sportsman"

Tutti i purosangue che corrono nel mondo discendono in linea retta da tre soli cavalli arabi importati duecento anni fa in Inghilterra; non sono che i pronipoti di tre unici stalloni.

Le corse dei cavalli erano già molto alla moda in Inghilterra, anzi lo erano ormai da più di trent'anni. Ma i cavalli erano ancora molto diversi da come sono oggi: a quel tempo il cavallo ideale era ancora molto simile al cavallo da guerra del medioevo. Alto, pesante, forte quanto era necessario per poter tenere in groppa un cavaliere appesantito dall'armatura. Quando galoppava, questo tipo di cavallo faceva rimbombare il terreno.
L'amore di un principe del deserto - "Lo Sportsman"

Cavallo e cavaliere, grafite su carta 2012 - Gianluca Salvati

sabato 10 ottobre 2015

Lo zoo di Karl Popper: coccodrilli e conigli | Aritmetica e realtà

Il calcolo dei numeri naturali è usato per contare le palle da biliardo, i pennies o i coccodrilli, mentre il calcolo dei numeri reali fornisce un quadro di riferimento per la misurazione di grandezze continue, come le distanze geometriche o le velocità [...]. Non dovremmo dire, ad esempio, che nello zoo abbiamo 3,6 o anche π coccodrilli. Per contare i coccodrilli, ci serviamo dei numeri naturali. Ma per determinare la latitudine del nostro zoo, oppure la distanza da Greenwich, dovremo verosimilmente ricorrere a π. La credenza che ogni calcolo dell'aritmetica sia applicabile ad ogni tipo di realtà [...] è pertanto difficilmente sostenibile.
[...] Si può ritenere che "2+2=4" significhi che, se qualcuno ha messo due mele e poi ancora altre due in una certa sporta, e non ne ha tolta nessuna, nella sporta ve ne saranno quattro. Secondo questa interpretezione, l'asserzione "2+2=4" ci aiuta a calcolare, cioè a descrivere, certi fatti fisici, e il simbolo "+" sta al posto di una manipolazione fisica - di una somma fisica di certi oggetti con altri. [...] Ma in questa interpretazione l'asserto "2+2=4" diventa una teoria fisica, piuttosto che logica; e di conseguenza non possiamo essere sicuri che rimanga universalmente vero. Di fatto, non rimane tale. Può valere per le mele, ma difficilmente vale per i conigli. Se mettiamo 2+2 conigli in una sporta, è possibile trovarne presto 7 o 8. E non è neppure applicabile, per esempio, alle gocce. Se mettete 2+2 gocce dentro un fiasco asciutto non potrete mai tirarne fuori quattro. In altre parole, se vi chiedete con meraviglia come sarebbe un mondo in cui "2+2=4" non è applicabile, è facile soddisfare la vostra curiosità. Una coppia di conigli di sesso differente, o poche gocce d'acqua, possono servire come modello di un mondo siffatto. Se replicate che questi esempi non sono validi perché è successo qualcosa ai conigli e alle gocce, mentre l'equazione "2+2=4" si applica soltanto a oggetti cui non succede nulla, la mia risposta è che, se la interpretate in questa maniera, essa non vale per la "realtà" (nella "realtà", infatti, accade sempre qualcosa), ma solo per un mondo astratto di oggetti distinti in cui non succede nulla. Chiaramente, nella misura in cui il mondo reale assomiglia a un siffatto mondo astratto, per esempio, nella misura in cui le mele non marciscono, o marciscono molto lentamente, e i conigli e i coccodrilli non si riproducono; o in altre parole, nella misura in cui le condizioni fisiche si conformano all'operazione di addizione puramente logica o aritmetica, ovviamente, l'aritmetica resta applicabile. Ma questa è un'affermazione banale.
 
Karl R. Popper

I conigli di Karl Popper

sabato 8 agosto 2015

Immensità e movimento del mare

Perché lo spettacolo del mare è così infinitamente e  così eternamente gradito?
Perché il mare offre a un tempo l'idea dell'immensità e del movimento.
Sei o sette leghe rappresentano per l'uomo il raggio dell'infinito.
Ecco un infinito diminutivo. Che importa, se basta a suggerire l'idea dell'infinito totale?
Dodici o quattordici leghe di liquido in movimento bastano a dare la più alta idea di bellezza che si offra all'uomo sul suo effimero abitacolo.
Charles Baudelaire

Raggio d'infinito

lunedì 6 luglio 2015

L'uomo che contempla gli astri, Marguerite Yourcenar

[...] L'uomo che contempla gli astri, e gli astri contemplati ruotano ineluttabilmente verso la loro fine, segnata in qualche punto del cielo. Ma ogni momento di questa caduta rappresentava un tempo d'arresto, un riferimento, il segmento di una curva, solida quanto una catena d'oro.
Ogni slittamento ci riconduceva a quel punto che oggi, data che per caso ci siamo trovati a viverci, ci appare un centro.
Memorie di Adriano, Marguerite Yourcenar


Uomo che contempla gli astri



domenica 5 luglio 2015

Paul Klee: l'espressione dell'arte

Mi sono posto dinanzi a me stesso, a scrutarmi. Ho detto addio alla musica, alla letteratura. Ho desistito dall'aspirare a una raffinata esperienza sessuale, rinunciando a quella tale avventura.
Anche alle arti figurative penso appena, devo dedicarmi prima a sviluppare la mia personalità. In questo devo essere conseguente e non cedere a sollecitazioni. Sono certo che solo così riuscirò a trovare la giusta espressione dell'arte.
Paul Klee

La sua attitudine all'introspezione, al guardare e al sentire insieme, gli ha consentito di creare un universo di immagini dove segni ricorrenti si alternano a rinnovate fantasie, a traduzioni del reale in tanti piccoli e grandi innamoramenti, le case, le montagne, gli abeti, le palme, gli angeli, il serpente e così via. 


Paul Klee


venerdì 3 aprile 2015

Pablo Picasso e la metamorfosi | Una foto di Robert Capa

Potrebbe risultare abbastanza interessante fissare fotograficamente non le fasi di un quadro, ma le sue metamorfosi. Forse ci si renderebbe conto delle strade che segue il cervello per rea­lizzare il proprio sogno.
Ma la cosa più curiosa da notare è che il quadro fondamentalmente non cambia: la visione iniziale rimane quasi intatta, nonostante le apparenze. lo penso spesso a una luce e a un'ombra; quando le ho messe in un quadro mi esercito a "romperle", aggiungendo un colore che crea un effetto contrario; quando poi il quadro viene fotografato, mi rendo conto della scom­parsa di quanto avevo introdotto per correggere la mia prima visione, e che in fondo l'immagine ottenuta dalla fotografia corrisponde alla mia visione prima, precedente le trasformazioni apportate dalla mia volontà.
Pablo Picasso
Pablo Picasso - fotografato da Robert Capa


domenica 29 marzo 2015

Pablo Picasso e il ritratto: percorsi d'arte

Quando si parte da un ritratto e si cerca, per eliminazioni successive, di trovare la forma pura, il volume netto e senza accidenti, si arriva fatalmente all'uovo.
Così pure, partendo dall'uovo, si può arrivare, seguendo il cammino e lo scopo opposti, al ritratto. Ma l'arte, credo, sfugge a questo cammino troppo semplice, che consiste nell'anda­re da un estremo all'altro. Bisogna soprattutto poter fermarsi in tempo.
Pablo Picasso 

Testa, olio su tela - Gianluca Salvati 2007

sabato 14 marzo 2015

Picasso e l'arte primitiva | Forme concrete e forme astratte

Fin dalle origini, dai primitivi, le cui opere sono evidentemente diverse dalla natura, sino ad artisti come David, Ingres, e persino Bougereau, che credevano di dipingere la natura com'è, l'arte è sempre stata arte e non natura. E dal punto di vista dell'arte non ci sono forme concrete o astratte, ma solamente forme, le quali non sono che bugie convincenti. È fuor di dubbio che queste bugie sono necessarie alla parte mentale di noi stessi, perché è attraverso di esse che noi formiamo il nostro punto di vista estetico sulla vita.
Il cubismo non è differente da nessun'altra scuola di pittura. Gli stessi principi e gli stessi elementi sono comuni a tutte. Il fatto che per molto tempo il cubismo non sia stato capito e che anche oggi ci sia della gente che non riesce a vederlo, non significa nulla. Io non so leggere l'inglese. Un libro inglese è un libro bianco per me. Questo però non vuol dire che la lingua inglese non esista. Perché dovrei rimproverare qualcuno, fuorché me stesso, se non riesco a capire quello di cui non so nulla?
Pablo Picasso
Pablo Picasso

venerdì 30 gennaio 2015

Pittura figurativa oggi: Piero Adorno, storia dell'arte | Weltanschauung, influenza e formazione

La parola "influenza", tanto usata dagli storici dell'arte, non deve infatti essere intesa nel senso esteriore, come qualcosa che condiziona la volontà dell'artista, ma come componente della sua formazione culturale. Ciascuno di noi è quello che è per gli infiniti e continui contatti con il mondo che lo circonda, per gli scambi di idee, le letture, le visioni di oggetti, di opere d'arte, e così via: tutto resta a sedimentare, formandoci e trasformandoci, fino a determinare il nostro modo di pensare, che non è la "somma" meccanica di tante conoscenze; è, al contrario, la nostra interpretazione della società, completamente personale, completamente autonoma; è, per usare un termine tedesco che esprime perfettamente questa idea, la nostra Weltanschauung, la nostra "concezione del mondo".
Piero Adorno

Tennista, olio su tela - Gianluca Salvati 1999

giovedì 29 gennaio 2015

Pittura figurativa moderna: El pajaro | Enrico De Simone e Lucia Veronesi: il colloquio

Enrico De Simone è rientrato in Italia nell'autunno del 2008, lasciando vacante una cattedra di matematica presso la scuola Bolivar y Garibaldi di Caracas.
Nella stessa scuola lavoravano anche Daniela Corrieri e Antonio Nazzaro, ovvero la piccola corte de' miracoli di Anna Grazia Greco.
Daniela, ex compagna di un poliziotto della scorta personale di Berlusconi, lasciava Caracas nello stesso periodo di Enrico De Simone. Inoltre, i due ex colleghi della Bolivar y Garibaldi, vivono entrambi a Roma.
Quella doppia partenza non pianificata indicava una certa ansia di lasciare il paese, dato che la scuola era appena cominciata: i due insegnanti abbandonavano un posto di tutto rispetto e ben retribuito (il pagamento avveniva in euro, a differenza del Codazzi che da 2 anni pagava in valuta locale). Ma bisogna aggiungere che la situazione stava evolvendo anche per la Bolivar y Garibaldi.
Di lì a poco l'insegnante Antonio Nazzaro, uomo tutto d'un pezzo, non avendo i titoli per insegnare, presenterà autodenuncia presso il Consolato Generale di Caracas.
Quando certa gente si muove le cose diventano subito contorte. Mi spiego meglio:
  • Se Antonio Nazzaro non aveva i titoli perché aveva accettato l'incarico?
  • Come faceva la Greco ad essere all'oscuro? Enrico De Simone e Daniela Corrieri hanno cominciato a lavorare alla Bolivar y Garibaldi dietro sua indicazione, difficile immaginare che per il Nazzaro le cose siano andate diversamente
Ad ogni modo è stato il pretesto che serviva alla Greco per togliere il contributo ministeriale alla scuola Bolivar y Garibaldi.
Trovo interessante questa trasformazione moralista della Greco: appena nel 2005 aveva imposto il suo "fidanzato" alla Codazzi, con un contratto stratosferico, mentre noi insegnanti provenienti dall'Italia ne eravamo privi. 
Cose dell'altro mondo, anzi no, cose di una certa Italietta...
Ora ricordo come andarono i fatti: il 5 settembre 2005, primo giorno di scuola per gli insegnanti, alla riunione degli insegnanti della scuola italiana la Greco mi chiese di partecipare ai corsi di informatica del suo amichetto. Da premettere che quando erano cominciati, il precedente anno scolastico, ero l'unico a non avervi partecipato.
Le risposi picche, non ero interessato. La Greco allora perse le staffe e cominciò a dare i numeri. Tra le cazzate che disse, una riguardava la Pubblica Amministrazione, di cui ella è senz'altro una rappresentante coi fiocchi. Mi redarguì dicendo che se avevo lavorato per la PA, dovevo essere a conoscenza del fatto che i corsi di aggiornamento sono obbligatori...
Continuai a rispondergli picche, se non altro perché del'argomento ho una certa infarinatura. 

E poi l'aggiornamento l'avrei fatto, anche a mie spese, per quello che ritenevo importante.
La Greco continuò a fare l'isterica. ma quando capì che stava facendo la sua figura, si rivolse alla coordinatrice, la quale mi disse che non avevo capito... e dalle minacce velate si passò alla richieste: sotto impulso della Greco la coordinatrice mi chiese alcune scartoffie, ovvero del lavoro in più da sbrigare. come era successo qualche mese prima quando avevamo chiesto che il suo amichetto presentasse una programmazione per i suoi corsi... la burocrazia come arma intimidatoria.
Comunque non le detti soddisfazione e ai corsi del suo amichetto, non ci andai neanche stavolta.

Sia come sia, la giunta Codazzi rifiutò "il fidanzato" della Greco come insegnante di informatica.
Il motivo è semplice, aveva lasciato che alcuni ragazzini di 4° elementare visionassero siti porno, come ho già scritto nei miei blog. Non so quanto abbia influito la discussione avuta con me, dato che ai primi di settembre la Greco era ancora convinta di riproporre lo stesso pacchetto di corsi al Codazzi... (comincio a rivalutare i rappresentanti della giunta Codazzi...)
La Greco, per ripicca, chiese a Claudio Milazzo della Bolivar y Garibaldi di accettare "il suo fidanzato" come insegnante per gli stessi corsi che teneva alla Codazzi. 
In cambio, la Greco (Anna Grazia, una fuorilegge per passione ndr) fece piovere dei soldi dal ministero, ovvero denaro pubblico in cambio dell'assunzione al suo tipo. Non fa una grinza.


Il colloquio

Prima di approdare alla Bolivar y Garibaldi, Enrico De Simone si era candidato a insegnare alla scuola Agustin Codazzi.
Nel marzo del 2006, infatti, el Hombre Negro era rientrato in Italia. C'era una cattedra di matematica in attesa di un/una prof.
Enrico, che lamentava uno stipendio da fame come giornalista presso La Voce d'Italia, prese la palla al balzo e andò a fare il colloquio con la preside, Lucia Veronesi.
Forse lo vidi quel giorno stesso, si era con M e il De Simone era tutto impettito e speranzoso per come si era svolta l'intevista, a vederlo già si fregava le mani... sembrava molto convinto di sé.
Ebbene, non solo la preside non accettò Enrico De Simone come insegnante, ma aggiunse, a onore delle cronache, che l'aspirante prof "non gli era piaciuto"...
Tanto per ricordare chi era la dolce Lucia Veronesi e quanto fosse preziosa la sua stima.
Quel giudizio sulla persona era molto di più di una semplice opinione personale, come era parso a me in quei giorni.
Di fatto la trovai un po' severa come osservazione, ma, col senno di poi, ho capito invece quanto fosse corretto il suo giudizio su Enrico De Simone, e perchè si fosse premurata di farlo circolare fra gli insegnanti.
Come ho detto, a suo tempo non gli detti molto peso: mi ci vorrano due lunghi anni per realizzare la sostanziale verità di quell'affermazione.
E questa consapevolezza mi è giunta a fine agosto del 2008 proprio lì, a Caracas.


 
El pajaro

mercoledì 12 novembre 2014

Il monaco di Shu - Li Po | Il grande pino, Paul Cézanne

Il monaco di Shu regge il suo liuto verde, bello,
scendendo a ovest, dalla cima dell'Omei.
Per me, l'ascolto delle sue prime note
ricorda il vento sui pini dello stagno.
Fluendo, l'acqua lava la mia mente di viandante;
il residuo di un eco, nella campagna fredda.
Io non vedo il tramonto sulle montagne blu;
ma chiedo: nel buio chi si curerà delle nubi d'autunno?
Li Po

Il grande pino, Paul Cézanne

martedì 11 novembre 2014

Pittura figurativa contemporanea: "Ciclista", olio su tela di Enrico Cajati | Un testo di Salvatore Vitagliano

[...] Nel ’67 la grande svolta. Enrico Cajati giunse alla determinazione di “mettere tutto sullo stesso piano”; appiattendo quindi quella superficie materica che aveva elaborato con tanti anni di sperimentazione e che lo aveva portato alla Biennale di Venezia (a 28 anni) e tornò a quella fonte originaria dove non più il caso ma la costruzione, la costanza, la tecnica, l’osservanza delle regole saranno principi  a cui cercherà di obbedire per tutto il resto della propria vita.
Ho detto “cercherà” perché un uomo del suo istinto e della sua immediatezza gestuale, musicale, dovette castigarsi notevolmente per raggiungere degli apprezzabili risultati, ma in questo castigo di uomo proiettato nel futuro che voleva raggiungere il passato, sta forse la chiave di tutta la sua grandezza. I suoi piccoli quadri informali divennero bozzetti di un lavoro futuro che ha del pazzesco; egli li cominciò a disegnare su fogli lucidi, poi procedeva allo spolvero e una volta riportato il disegno su tela, iniziava il lavoro di campitura, di chiaroscuro, di velature, e quando il risultato finale non lo soddisfaceva, ecco una tinta nuova ricoprire tutto e di nuovo un nuovo inizio e alla fine un nuovo daccapo, e ancora a ricominciare: un buon dipinto va fatto e rifatto sei volte, diceva, e come il Dio creatore egli lavorava sei volte e non meno di sei giorni all’Opera che era tutto il suo mondo. Ma il suo non era un cancellare, bensì un ricoprir di veli, e solo occhi attenti alla pur minima vibrazione di colore potevano catturarne le infinite sequenze di quelle luci nelle tenebre. 

Ciclista, olio su tela di Enrico Cajati
E in verità non furono molti, benché in tanti ne fossero incuriositi, i veri intenditori furono pochissimi ma tutti di gran qualità. Cajati godeva della fiducia incondizionata di Perez (Augusto, scultore), di Luca (Luigi Castellani, pittore), e di illuminati collezionisti come R. Marrama, R. Criespo, Cafarelli. 
Salvatore Vitagliano

lunedì 27 ottobre 2014

La nipote di Franco Chirico e la cricca catto-fascista del Codazzi | Una Caracas da bere: Ruben Zambrano e il Club de la Guardia

Quando ritornai a lavorare nel gennaio 2005, ripresi anche le uscite serali in quel di Caracas. Una Caracas da bere.
Il collega di uscite, Giuseppe Rinaldi, era ritornato dall'Italia più baldanzoso che mai. Baldanzoso è il termine adatto per uno sovrappeso che ami danzare la salsa e gli altri balli caraibici... Il bello è che se la cavava piuttosto bene.
Io ero debole e necessitavo ancora di riposo, ma avevo anche bisogno di vedere un po' di vita, dato che ero fresco reduce dal mondo dei morti, o degli spiriti, se preferite. 

Fortunatamente avevo ricominciato la scuola di mercoledì, per cui il fine settimana arrivò prima del solito. Giuseppe mi disse che era in contatto con Ruben Zambrano, l'insegnante di educazione motoria del Codazzi. Quel venerdì, infatti, si festeggiava il dia del maestro e a scuola ci fu il solito brindisi (non essendo riusciti a farmi fare fuori, mi festeggiavano, quegli infami...).  
Durante il brindisi Giuseppe Rinaldi e il prof di educazione fisica parlarono per del tempo. 
Quando ci vedemmo in serata, al solito bar di plaza Chacaito, Giuseppe mi disse che Ruben gli aveva scritto un messaggio. Il prof di motoria era in serie difficoltà: lo assediavano varie femmine e richiedeva il nostro intervento. Più che un messaggio pareva un Sos...
Come potevamo rifiutare?
Terminammo le nostre birre e ci mettemmo in viaggio. Destinazione: Club de la Guardia.
Raggiungemmo il nostro collega ancora incolume che ci presentò una intera comitiva di gente. Almeno tre figliole erano di mio gradimento.
Il Club de la Guardia era una sorta di dopolavoro dell'esercito venezuelano. Era distribuito su un'area abbastanza grande e si entrava solo per conoscenza. Non mi dispiaceva perché era per lo più all'aperto, semplice e popolare. La musica non era chiassosa, e pazienza se c'era solo musica locale. Era un luogo ideale per chi sapeva ballare i ritmi caraibici.
Il gruppo di Ruben era situato in una zona che terminava con un cortile. Sul muro di quel cortile era dipinto a lettere cubitali la scritta "Barinas linda!". Omaggio al luogo che ha dato i natali al presidente Chavez. Alcune amiche di Ruben mi fecero un corso accellerato di salsa venezuelana. Molto istruttivo, anche se sono stato un pessimo allievo.
Ad un certo punto della serata, me ne andai a fare un giro per il club. C'erano zone poco illuminate con cespugli e aiuole ed altri spazi coperti dove la gente ballava. Nel complesso dava l'idea di un luogo molto frequentato ma tranquillo. 
Durante il mio giro di ricognizione vidi, per la prima volta, la nipote di Franco Chirico. Era il 14 gennaio 2005. La vidi senza conoscerla e senza essere visto da lei che parlava animatamente con una ragazza della comitiva. Una di quelle che mi piacevano, per intenderci. Forse fu proprio per cercarla che vidi la nipote di Franco Chirico, massimo editore del Cammino Neocatecumenale e amico personale di Kiko Arguello, nonché capo-setta della comunità frequentata dai miei genitori. 

Franco Chirico e la setta neocatecumenale

Parlava la sciacquetta, in una zona poco illuminata, ma più precisamente impartiva istruzioni. Quella tipa dalla faccia slavata aveva 25 anni circa, gli occhiali e i capelli castani non molto lunghi, legati dietro con una piccola coda. Aveva lo stesso piglio della Greco (Anna Grazia, una fuorilegge a Caracas), ovvero lo stesso modo del cazzo di blaterare senza ascoltare. Odiosa solo a vedersi.
Quello del Club della Guardia è stato il primo di 3 incontri certi, che ho avuto con quella troia della nipote di Franco Chirico. ma non escludo di averla avuta tra i piedi in diverse altre occasioni, dal momento che aveva frequentato il Codazzi e abitava a due passi da casa mia...